Dialogo siciliano con Amerigo Tot, scultore
(G. F. ALLIATA, Trinarcia, Palermo, 03 March, 1973, p. 8-11.)
— by G. F. ALLIATA
Nel panorama della scultura contemporanea Amerigo Tot occupa un posto a sè per il singolare modo di «formare in grande» e per la destinazione architettonica, pubblica, delle sue opere. Tot è artista doppiamente europeo: ungherese di nascita e italiano di adozione. Egli compie la sua formazione artistica nel clima delle avanguardie culturali tedesche tra il 1930 e il 1933. Al Bauhaus di Dessau frequenta le lezioni di Moholy-Nagy. Sono di questa epoca i suoi primi disegni «astratti», esuberanti, astrali e patetici.
A Dresda fa parte del Gruppo di Otto Dix, capo degli artisti rivoluzionari, fino a quando le persecuzioni naziste contro un'arte degenerata non lo costringono a lasciare la Germania e a tra-sferirsi in Italia.
A Roma Tot trova la scultura oberata dal caldo della retorica celebrativa, impigliata nei modi neo-classici, tardo-impressionisti e neo-barocchetti. Per reazione e salvezza, e, al tempo stesso, per metter più profonde radici nella tradizione classica italiana, egli scopre il Rinascimento, ma con una sensibilità scontenta, critica, già toccata dal futuro, prossimo e tragico, metamorfico e di nuova coscienza.
Nascono così la serie delle «Celestine», delle «Giuditte», delle «Susanne», dei «Ritratti d'uomo», e poco dopo la famosa «Donna incinta» e infine le sue «Donne-sasso», enormi, raggomitolate, chiuse in forma ancestrale ,di difesa, ricacciate, quasi un mito, nel primitivo, nell'esi stibile originario, come a proteggersi dalla rovina dell'imminente guerra se non addirittura dalla infinità divoratrice dello stesso spazio. A guerra finita, Tot si ritrova perfettamente inserito e a suo agio nella dinamica delle correnti artistiche europee. Opera in chiave non oggettiva, portando a termine i «Bronzi-mostri», il «Fregic» della Stazione Termini, il «Cemento» dell'A.C.I., la «Ceramica» del Palazzo dello Sport e i grandi pannelli dell'Università (Facoltà di Chimica) di Roma.
A un artista come Tot, di così costante impegno di ricerca, ho voluto chiedere in coincidenza con la sua mostra antologica allestita dalla Galleria Trinacria in Palermo, la sua opinione sullo stato dell'arte nelle sue versioni ultime dal post'informale e dalla neo-figurazione sino all'art-pop, op e comportamentistica; e sulla qualità, e sugli interessi del suo attuale lavoro.
Tot premette subito che per quanto lo riguarda à valido per lui il rapporto di polarità postulato da Kandinskj. Un autentico temperamento artistico si esprime in qualsiasi forma di linguaggio. Gli aspetti della sua opera, infatti, possono variare all'infinito, e tuttavia la sua essenza non muterà mai. Nella sua opera astratta, ad esempio, non ha distrutto la forma. Se guardate le sue «Donne-sasso», vi troverete il cosiddetto «intreccio astratto»: nelle braccia, nelle gambe, nell'apertura della testa, nelle linee-labirinto lungo le quali le conduce a diventare «scultura».
Come spieghi il passaggio «facile» nello stesso artista dal non-oggettivo all'oggettivo e vicever-sa, specie in questi ultimi tempi?
Noi non ci alziamo ogni giorno cogli stessi sentimenti, colle stesse idee, con la voglia e la possibilità di fare, di rifare le stesse esperienze. Sentiamo di creare cose differenti per la perpetua scontentezza che ci prende verso tutte le cose esistenti e verso quello che facciamo. Muta continuamente la storia di noi uomini oggi all'unisono coi modi di ideare e di formare di noi artisti.
Secondo te è positivo o non per l'arte odierna questo suo tendere incessante alla ricerca, rischiando al limite di consumarcisi «tautologi-camente», interamente?
I problemi del Rinascimento (e dintorni) sono stati risolti da grandissimi geni. E' inutile quindi tornarci sopra e fermarcisi, pena l'accademia. Ora io sono contro ogni accademia nella quale può cascare anche l'arte «moderna». Perciò mi sento totalmente impegnato nella ricerca, nella problematicità come essenza dell'arte contemporanea: intellettualmente, sentimental-mente, fisicamente. C'è in me un perpetuo bisogno di esperienze: di esperimenti, ma secon-do natura: la mia natura d'uomo.
Noi crediamo ex-operibus che i tuoi modi di ideazione e produzione nascano da sensi e le-gami con la storia: storicisticamente. Nell'evoluzione della mia arte hanno certamente influito catastrofi e mutamenti della storia recente. Se dovessi esprimerli con realistica materiale immediatezza, io allora dovrei prendere, non so, del materiale usato dalla « violenza », oggi ideologizzata, o i prodotti «consumati » della tecnologia, e manipolarli secondo un ordine plastico. Ma, pur sentendomi « inserito » in questo tempo, saggio e tragico, non posso dimenticare che lo scultore deve fare qualcosa con le sue mani: non posso stancarmi (e staccarmi) dal fare scultura. Dove posso escludo la tecnica (e la stessa tecnica della violenza) o la contrasto o la umilio o la ridimensiono o la richiamo sull'uomo. Dobbiamo strappare forme che l'uomo subisce per farle rientrare fra quelle che l'uomo governa. In ciò sta appunto a mio parere la radice umanistica della mia arte sia figurativa che astratta.
Tot è contro le intermittenti ispirazioni della «mente romantica», contro le pigrizie della mano.
Egli è artista continuo, attivo, intento a ricostituire, all'interno dei suoi microcosmi plastici, sul metro d'una memoria del futuro, a livello di coscienza estetica ed etica, l'uomo (la sua immagine) come «soggetto» della vita. Nello studio ha issato su steli metallici forme ellittiche, modulate con gelida purezza, da neo-classico.
Tot prepara «la segnaletica» per un nuovo periodo di ricerca della sua arte, salva dagli «inganni culturali» dei repertori formali d' una «avanguardia» che celebra la sua morte; del recupero di talune tecniche che sostituiscono l'immaginazione del reale; e di quella estrema non-arte comportamentistica, che è « teatro del nulla ».