Tot: il segno il colore la scultura

(LIONELLO VENTURI, Trinarcia, Palermo, 03 March, 1973, pp. 6-7.)

— by LIONELLO VENTURI

Tot è nato in Ungheria nel 1909, studiò a Budapest alla scuola grafica ove apprese la tecnica dell'incisione, se ne andò a Dessau per studiare pittura al Bauhaus sotto la guida di Moholy-Nagy, e nel 1933 al momento della vittoria di Hitler, riparò in Italia, dove in seguito è sempre stato, ottenendo la cittadinanza italiana. Il fascino del Rinascimento lo allontanò per qualche tempo dall'arte moderna, conosciuta a Dessau, malgrado egli ammirasse Arturo Martini e Marino Marini. Ancora nel 1948 quando creò l'ampio bronzo « Tavoliere » per la Cassa di Risparmio della Puglia a Bari il compromesso, anche se formale, sussiste tra l'antico e il moderno. Il « Tavoliere » era un'opera pubblica e perciò Tot dovette cedere al «tema» e svolgerlo, sia pur magistralmente, secondo chiari moduli figurativi ma sin dall'anno prima aveva scoìpito una « Figura » dove il volume lasciava appena spuntare il volto. Egli sentiva che la forma doveva essere assorbita nella massa, che il valore plastico doveva prevalere, oppure, come ora dice, che la scultura doveva svilupparsi nello spazio pieno, che assumeva valore artistico per sè. Codesto suo raggiungere nello spazio il valore astratto della scultura era autentico. Ma non poteva durare. Il pieno senza il vuoto è inerte, ed è necessaria la dialettica del pieno e del vuoto. E' noto che Henry Moore ha rinnovato la scultura internazionale appunto con tale dialettica; ma Tot vi arrivò da sè, e solo nel 1952 fu confortato dall'esempio di Moore conosciuto a Londra. Le materie usate sino allora erano state il marmo, la pietra o il tufo. Ma la dialettica dei pieni e dei vuoti portava a una maggiore articolazione della immagine plastica e all'esigenza di una materia più malleabile. « L'arte di mettere » sostituiva « l'arte di levare », per usare la formula michelangiolesca: e il bronzo divenne la materia preferita per una logica interna della scultura, per ottenere un canto a più voci anzi che un a solo. Nel 1953 fece in alluminio il frontone della Stazione Termini a Roma.
Nel 1958 eseguì il frontone dell'Automobil Club a Roma in cemento fuso, che per esser fuso assumeva la qualità del bronzo, e per essere cemento ricordava la roccia. Oltre la ragione artistica il nuovo materiale rispondeva a una necessità di diversa natura. Arrivato in Italia Tot aveva sentito la grandezza dell'arte del Rinascimento e la bellezza dei miti classici. Fu un incoraggiamento di pensare che lavorando il bronzo egli era un nuovo Vulcano. Nello stesso tempo sentiva di essere un «barbaro », e vivendo in un mondo di tanta storia si rifugiava nella preistoria. L'età del bronzo divenne la sua età ideale, gli uomini che prima inventarono il bronzo furono i suoi eroi: scavare nella roccia, entrare nelle caverne, gli sembrò il modo migliore per trovare la sua arte. Aspirare al mito dell'età del bronzo fu la ricerca di una felicità impossibile, dopo i fatti d'Ungheria del 1956 che straziarono Tot. Le articolazioni delle macchine in bronzo divennero drammatiche, e appena le sue immagini si erigevano verticali, brevi torri tormentate e forti, egli realizzava le sue proteste.
Dal mito dell'età del bronzo alla protesta contro la civiltà odierna: sono i due momenti tra cui oscilla la fantasia di Tot. Le ultime sculture sono macchine con accenni all'immagine umana, dura, forte, combattiva; sono delle sfide alla terra e al cielo.
Basta guardare le sculture di Tot per capire com'egli abbia sentito la necessità della pittura (dal disegno alla incisione alla dito al quadro) per integrarsi, per entrare nella vita del sogno dopo tanto duro lavoro, per distendere nervi e volontà e godersi un momento di libera fantasia. Ciò gli ha permesso di darsi al gusto della sfumatura, che la scultura non gli consente. Ivi il vuoto è il suo tormento, ma la sfumatura gli permette di riempire i vuoti pur mantenendoli. Perciò la grafica, in specie, di Tot è serena anche se malinconica; e si distacca dal peso delle forme, che appaiono essenziali e delicate. Sorvolano sulla terra e raggiungono talvolta il senso dell'al di là. Questi risultati sembrano magicamente aggirare 'la volontà dell'artista, il quale anzi vuole ricollegare la grafica alle sue sculture. Alcuni motivi sono quelli inventati anteriormente per le sculture, come ca-verne — o rocce scavate a giri concentrici. Persino il colore (in lui avarissimo) intende richiamare le materie usate nella scultura. La fantasia di Tot, uno dei protagonisti della cultura plastica europea, prevarica, prevale con la sua libera «forza poietica» sulla «volontà», lo sfumato rende delicate le forme: e chi le contempla entra nel sogno della loro grazia.