Tot, scultore
(LUIGI BARTOLINI, Alfabeto, anno III, No. 17-18, Roma, 15 September, 1947)
— by LUIGI BARTOLINI
Di Tot ho due distinte memorie: una, d'una sua statua (figura muliebre distesa) che vidi — e mi piacque molto — esposta, anni or sono, nella Galleria San Marco; un'altra d'un gruppo di statue in cui si può dire che mi imbattetti non volendo, recandomi a liquidare i conti d'una mia esposizione tenuta, l'anno scorso, alla Galleria dell'Obelisco, sagacemente e nobilmente gestita dall'amico del Corso e dall'intelligente Brin. Tutti sanno (o molti sanno) che io adopro dei criteri miei direi originali per giudicare intorno alle opere d'arte: che io non giudico mai secondo il genere o secondo la moda a cui anche vistosamente possono appartenere ma che io giudico secondo un sistema che chiamerò « sistema di resistenza »; ossia se un'opera d'arte rimane impressa nella mia memoria di poeta essa opera secondo me vale; se, viceversa, l'opera o le opere passano al mio bando, allora pér me esse non vàlgono (o è da dire che non mi interessano). D'altra parte ancora se facessi il novero delle opere di scultura contemporanea che sono rimaste impresse nella mia memoria non ne dovrei contare un lungo registro, ma viceversa, e purtroppo, un numero esiguo.
Ancora un altro è il mio punto di riferimento per un, onesto ed intelligente giudizio: e cioè quando un'opera d'Arte dispiace al borghese, reagendo sopra il suo consuetudinario, ottuso, obeso, grasso e grosso giudizio. Chè in tal caso l'opera tanto meglio è da raccomandare quanto più è dispiaciuta al vile borghese. Rammento che il gruppo di gessi esposto all'Obelisco urtò i nervi di alcuni borghesi ed in ispecie la « fi-gura di donna incinta » e che in questo bel periodico d'arte Gino Patti vi dà in riproduzione. Quando io mi incontrai con tale opera espressi il mio parere molto favorevole. Si trattò, anzi, d'un, grido d'ammirazione generata in me dal potente e massiccio torso di donna incinta. Il dei Corso se ne compiacque e fu lui che mi accennò a certe disapprovazioni borghesoidi secondo le quali la figura avrebbe urtato la suscettibilità morale dei timorati dal pregiudizio. Codesti timorati — risposi — non possono essere che gli adoratori scultura-sopramobile; scultura-sopramobile alla quale corrispose tanto bene, ai tempi d'ieri rl'altro, le ninnolerie di Nicola d'Antino o le tante figure, la tanta creta sprecata degli scultori da statue da giardino o da pubblici monumenti o da cimiteri, ecc. Chè se la serqua dei molti inutili tquadri è assai vasta, di numero ancor più vasta è quella delle inutili statue. A me il « torso » modellato da Amerigo Tot con un vigore che inutilmente si potrebbe ricercare anche in celebrate statuarie 'quali quelle del — a suo tempo — fin troppo celebrato Rodin, piacque nel suo castello di sangue e di ossa, piacque come pezzo di sana natura. Vi udii scorrere la linfa materna e vi intesi la voce della creazione. Vi notai non la bellezza della Venere anadiomene, nè la bellezza della Venere ma una bellezza umana e morale: quella che, viceversa, era tanto dispiaciuta (perchè non era stata penetrata) dalla pigra concezione borghese. Un senso d'infinita libertà esprimevauò — secondo me — i volumi massicci. Rigore anatomico, costruzione carnosa che faceva dimenticare la precaria materia ges-sosa. Perchè, se noi amiamo il melograno che si spacca al sole offrendoci gli (acini rubini, non dovremmo entrare nella concezione di quest'immagine plastica la quale esprime una maternità in modo assolutamente diverso da come venne espresso da più scultori del nostro Quattro e Cinquecento? Ben più remote e primitive origini possiede questa superba scul-tura del Tot: essa si riallaccia a certe immagini votive plastiche della scultura dei nostri padri romani e dei nostri parenti etruschi. Ed una non strana nè casuale analogia è fra questa, figura del Tot e la figura della donna dal seno protuberante eue esiste (o esisteva) nel museo Kircheriano. Si direbbe che Amerigo Tot nel concepirla sia risalito alle primitive immagini dei trogloditi apportando a quell'arte ineffabile e così aderente all'affiato cosmico, i frutti delle esperienze di secoli e secoli di scultura.
Peccato che in questa rivista non sia stata riprodotta anche la figura della donna distesa e così ben rimasta impressa nei miei occhi dal tempo che la vidi esposta nella Galleria dei Cassetta. In tale figura che si disse, a torto, recare analogie con certe concezioni plastiche dello scultore Marini — io notai una guizzante eleganza di biscia umana che si snoda, ed una venerea bellezza che non andava disgiunta da una certa classicità di ottima lega.
Tutto sommato, se ripenso alle lodi che prodigai, anche allora, ad Amerigo Tot non credo — a distanza di tempo — che di doverle confermare per considerare il Tot quale uno dei migliori scultori, fra Fazzini, il de Felice, il Cannilla, Leoncillo, il Mazzaeurati che oggi operano in Roma.